MADE IN ITALY: QUANDO L'EXPORT DIVENTA UN GRANDE VANTAGGIO

L’importanza e le opportunità di essere presenti nel mercato globale

Il mercato odierno, sempre più globalizzato e connesso, è pieno di opportunità di sviluppo per le imprese che producono Made in Italy.

La digitalizzazione, le filiere globali, lo sviluppo di nuove tecnologie hanno eliminato molti ostacoli al commercio internazionale riducendo, almeno fino al 2020, i costi di trasporto (quest’anno, infatti, la situazione trasporti è molto differente, ma per ragioni particolari che andrebbero trattate in un altro articolo), e favorendo uno scambio di informazioni e conoscenze mai visto prima.

Tutto ciò ha contribuito nell’aumentare i benefici dell’export.

La conseguenza principale di questo processo è quella di aver permesso anche alle piccole e medie imprese, come ASTRA VERNICI, di potersi avventurare oltre il mercato domestico.

Ne parliamo oggi con Gianfranco Oberti, CEO di ASTRA VERNICI S.r.l.

 

Qual è la situazione attuale sulle esportazioni per la vostra azienda ?

Oggi, ASTRA VERNICI è una realtà consolidata presente in oltre 40 differenti paesi con una quota di export sulle vendite pari a 2 terzi del totale (circa il 66%).

Ovvero ogni 3 Litri di prodotti che vendiamo, ben 2 sono destinati all’export.

La cosa curiosa è che di questi 2 litri, 1 è venduto all’interno della EU, e 1 al di fuori.

Quindi, in sostanza, oggi realizziamo in praticamente egual misura vendite in questo rapporto:

  • 1/3 in Italia
  • 1/3 in EU
  • 1/3 nel resto del mondo

Oltre a ciò, abbiamo in essere importanti programmi di crescita al di fuori dell’Italia che si concretizzeranno, ragionevolmente, quest’anno e che ci faranno aumentare le vendite all’estero dei nostri prodotti italiani.

 

Quando e come è iniziato il processo di internazionalizzazione in ASTRA VERNICI?

Le nostre performance di export, non sono avvenute né all’ improvviso né per caso.

Ma sono frutto di anni di evoluzione.

Occorre infatti ripercorrere le tappe che hanno portato a questo risultato, iniziato verso la fine degli anni ’90 quando il sottoscritto, terminati gli studi, è entrato nell’azienda di famiglia.

All’epoca l’export non era considerato come una vera opportunità, nel senso che non vi era una vera e propria strategia organizzata per affrontare le vendite oltrefrontiera e quindi non si contava sull’export per crescere.

Ci si domandava: “perché esportare? Quali sono i benefici dell’export quando le performance nazionali sono buone ed il mercato domestico è in costante crescita?”

“Perché sprecare risorse nella ricerca e gestione di clienti che richiedono attenzione e sono lontani, e non parlano la nostra lingua…”

Queste erano le obiezioni che dovevo affrontare quotidianamente, ma non biasimo chi mi rivolgeva queste domande.

Le vendite al di fuori del territorio nazionale erano viste più come una forma per coprire i costi fissi.

Il mondo in cui l’azienda era cresciuto fino ad allora era quello lì. Non si capiva ancora che limitarsi al mercato domestico fosse un serbatoio “finito” ma lo si pensava invece “potenzialmente infinito”, nel senso che i nostri prodotti erano in costante crescita di volumi grazie alla domanda interna in continua espansione.

Pensate come era difficile per una piccola impresa, in quei tempi, esportare: immaginate solo ai problemi dei cambi.

 

Allora non c’era l’ EURO, giusto ?

Esatto, quindi ogni vendita doveva essere effettuata con un cambio che assorbiva gran parte dei margini aziendali e le fluttuazioni dei cambi di qualche paese vanificavano, talvolta, i numerosi sforzi per acquisire i clienti che, magari, dopo qualche mese, non erano più in grado di acquistare a causa della svalutazione della loro moneta.

Succedeva di rado, in quanto era più spesso era la nostra “liretta” a darci una mano …

Cosa intende con questo?

La lira, con la sua forte svalutazione aiutava le imprese esportatrici perché i clienti esteri, dovendo convertire le loro monete in lire italiane per pagare, ogni volta pagavano di meno!

E’ quello che sta succedendo oggi a paesi come la Turchia le cui esportazioni, grazie alla moneta debole, stanno volando.

Viceversa però, per le aziende italiane che acquistavano i prodotti dall’estero (tipicamente in dollari), erano dolori, perché per loro, di volta in volta, gli acquisti erano sempre più salati.

Ma un vero imprenditore, a mio avviso, deve essere anche visionario, nel senso che deve possedere la lungimiranza e intravedere opportunità future dove, in apparenza non parrebbero esserci: deve interpretare le dinamiche del mercato e saper anticipare i tempi.

È con questo spirito che già in quel periodo, avevo avvertito che i nostri clienti “tipo”, i produttori di articoli torniti in legno della valle Imagna, dove realizzavamo la gran parte del nostro fatturato, a due passi da Bergamo, avrebbero avuto vita difficile in futuro.

Non si parlava ancora di concorrenza asiatica, ma la tipologia dei nostri acquirenti era già allora troppo piccola e poco innovativa e culturalmente restia al cambiamento per poter pensare di sopravvivere.

Si trattava infatti principalmente di clienti terzisti, messi in concorrenza l’uno con l’altro, che producevano tutti articoli a basso valore aggiunto, senza alcun controllo della filiera distributiva. Senza alcun concetto di design, di innovazione.

Era quindi abbastanza scontato che, da lì a poco, ci saremmo trovati senza clienti perché quelli che avevamo avrebbero inesorabilmente chiuso.

Dovevamo fare qualcosa, cambiare strategia, cercare nuovi mercati.

Da lì è partita l’idea di creare un piccolo e primordiale sito internet, aprire un account di posta elettronica, dal quale cominciare a spedire email. E viaggiare, muoversi, visitare paesi, clienti, cercare nuovi canali.

Aprire nuove distribuzioni, contattare potenziali nuovi clienti e/o rivenditori, quanti viaggi in auto per tutta Europa!

Allora non c’erano ancora i navigatori satellitari, si viaggiava con lo stradario cartaceo: parliamo dei primi anni ’90…

Oggi tutto questo, raccontato ad un giovane, può far sorridere, ma vi assicuro che è non è stato facile, ma comunque è stato entusiasmante. Acquisire un cliente in queste condizioni è ancora più gratificante.

Quanti viaggi, quante notti in albergo.

Devo ammettere che la fortuna di avere l’aeroporto di Bergamo a 2 km dalla azienda, che con l’avvento dei vettori low cost che proprio in quel periodo cominciavano a muovere i primi passi, ci ha aiutato molto.

E da lì poi è stato tutto un crescendo. Ma, credetemi, non è stato per niente facile.

 

Quali sono state le sfide e i cambiamenti principali che avete dovuto intraprendere ?

È stato necessario un cambiamento culturale e organizzativo di tutta l’azienda.

Una cosa è consegnare a clienti in Italia, che possono essere raggiunti tramite corrieri o i nostri depositi decentrati.

Cosa ben diversa è spedire in container via mare, dove la merce può raggiunge il cliente anche dopo 6 settimane dalla partenza. Affrontando “stress” di umidità e temperatura: nei container, durante il trasporto via mare, su alcune rotte equatoriali, può raggiungere anche i 90°C di temperatura interna per parecchio tempo e questo può compromettere anche le caratteristiche dei prodotti che possono ammalorarsi.

Per non parlare della salsedine e dell’umidità, che possono fare bruttissimi scherzi.

L’inglese è diventata (praticamente) la lingua madre nelle comunicazioni aziendali, interi processi aziendali sono stati rivisti.

Anche gli imballi sono stati studiati appositamente, così come le pallettizzazioni dei prodotti e le etichette e le schede tecniche e di sicurezza multilingua.

Tra l’altro abbiamo dovuto mettere mano alla formulazione dei prodotti. I nostri, per certi versi, erano troppo sofisticati perché destinati a clienti professionalmente molto preparati nell’utilizzo.

Ma in certi paesi, le maestranze non hanno il background e la formazione che noi consideriamo scontata.

Non sono culturalmente ed organizzativamente preparati all’utilizzo di prodotti professionali.

E poi i climi (temperatura, umidità) sono completamente differenti dai nostri.

In tutto ciò, comunque, ci è stato indubbiamente di forte aiuto il traino dato dai nostri prodotti dal fatto di essere “made in Italy” ed al servizio di un settore, l’arredamento, così legato al design, che è un indiscusso lasciapassare così benvoluto all’estero.

Il Made in Italy nel mondo è una garanzia di qualità. Ha un ruolo fondamentale nell’economia mondiale e nella creazione di nuove opportunità lavorative per l’import e per l’export di tutto ciò che viene prodotto nel Bel Paese.

Perché se è vero che i prodotti italiani, in generale, hanno un’ottima nomea e appeal all’estero, le vernici per legno l’hanno ancora di più e sono molto richieste!

Quindi, da cosa nasce cosa e negli anni, le richieste si sono moltiplicate tanto che oggi, per seguire i numerosi paesi che serviamo, oltre al sottoscritto, ci avvaliamo della collaborazione di 2 export manager.

Ci può dare qualche ragione in più per cui qualsiasi azienda, si deve strutturare per affrontare i mercati esteri ?

È semplice, perché tornando al discorso iniziale, le aziende che esportano registrano mediamente risultati più performanti in termini di crescita, competitività e redditività.

  • Crescita:  Secondo dati CERVED le PMI più aperte ai mercati internazionali crescono a ritmi più elevati. Mediamente il 17% in più rispetto a quelle con grado di apertura minore. La spiegazione è piuttosto semplice: limitarsi al mercato nazionale riduce le possibilità di scoprire nuovi mercati profittevoli e nuovi sbocchi per i propri beni o servizi.
  • Competitività: Le imprese che operano all’estero sono più competitive rispetto a quelle che circoscrivono la propria attività solamente nel mercato interno. Inoltre le competenze maturate in mercati diversi rendono le imprese più produttive e strutturate. Competenze che poi vengono sfruttate anche nel mercato di origine.
  • Redditività: Anche in termini di redditività le imprese a vocazione internazionale mostrano performance migliori.

 

Potendo sintetizzare ulteriormente, perché è necessario esportare i prodotti Made in Italy?


Principalmente per queste ragioni:

  1. Stagnazione del mercato interno

Con un mercato che cresce sempre di meno, la concorrenza diventa più accanita. Per evitare guerre di prezzo e crescere, l’orientamento verso i paesi emergenti che danno maggiori opportunità diventa una necessità.

  1. Saturazione della capacità produttiva e allungamento del ciclo di vita del prodotto

La tua azienda ha una capacità produttiva maggiore di quanto il mercato interno possa assorbire? Allora questa è una buona ragione per trovare nuovi sbocchi di mercato.

Tutti i prodotti e servizi passano prima o poi per una fase di maturità e successivamente di declino all’interno del proprio ciclo di vita: esportare significa anche trovare dei mercati in cui il tuo prodotto non era ancora presente o ha un mercato di riferimento più ampio.

  1. Diversificazione del rischio

Puntare su un solo mercato espone a molti rischi. Il clima economico attuale, caratterizzato da tensioni e instabilità, potrebbe provocare rialzo dei prezzi, tensioni politiche, recessioni. Se il mercato nel quale si opera presenta i problemi citati, aumenteranno i rischi di riduzione improvvisa del fatturato. Concentrarsi su diversi Paesi mitiga questo rischio riducendo le perdite.

  1. Maggiore benessere del ceto medio nei paesi emergenti

Dopo una prima fase di sviluppo, il ceto medio dei paesi emergenti ha ormai modificato il proprio modello di acquisto, passando da una mera soddisfazione del bisogno alla ricerca di prodotti più sofisticati.

Vi faccio un esempio concreto: in India, noi vendiamo prodotti di fascia alta.

I nostri clienti non ci chiedono prodotti “entry level”, quelli li sanno fare anche loro e non c’e’ nessuna ragione per comprarli, a prezzo più alto, oltre oceano.

A noi chiedono solo prodotto di fascia alta, “made in Italy”, che soddisfano esigenze più specifiche, raffinate e qualitativamente superiori.

Questa è l’occasione giusta per le imprese italiane di intercettare i nuovi bisogni in paesi ad alto potenziale.

  1. Rafforzamento di brand awareness e brand reputation 

L’esistenza dei prodotti in diversi mercati ha come inevitabile conseguenza che molte più persone verranno in contatto con il tuo brand, imparando a riconoscerlo e a fidelizzarsi. La presenza internazionale ti conferirà, inoltre, l’immagine di un marchio forte e stabile con effetti positivi anche nel mercato di origine.

 

Chiaro, le faccio un’ultima domanda sul futuro, come lo vede per l’export della sua azienda e in generale per l’Italia ?

​Personalmente per la mia azienda lo vedo in chiave positiva. E’ strategico ed è un cardine del nostro piano di sviluppo. Non ci dimentichiamo ovviamente del marcato domestico, siamo italiani e non esterofili “a priori”.

Tuttavia, per le dinamiche che ho esposto prima, il nostro orizzonte a cui guardare con maggiore attenzione è al di fuori dei confini nazionali.

A livello globale, come paese intendo, credo che ci stiamo muovendo abbastanza bene ma talvolta un po’ troppo in ordine sparso tra i vari organi dello stato. Mi pare che anche le istituzioni se ne siano rese conto e infatti devo ammettere che SACESIMEST e ICE

hanno subito una profonda trasformazione proprio al fine di perseguire gli obiettivi generali del paese attraverso il supporto della piccola-media impresa che è “la spina dorsale” della nazione.

Qualche anno fa non si poteva fare la stessa affermazione. Certo, se mi guardo intorno, abbiamo concorrenti agguerriti che quando si muovono per esempio in missioni internazionali, si muovono forti di un “sistema paese” molto più coeso e con meccanismi più rodati dei nostri (per esempio la Francia o la Germania).

Ma noi, come Italiani, abbiamo una credibilità internazionale e un appeal molto forte.

E come imprenditori, una marcia in più.

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